Gli estimatori del “food delivery” – anche qui nel nostro Paese – rappresentano una fetta sempre più consistente della popolazione. Tra chi ordina regolarmente prodotti alimentari, infatti, troviamo giovani e meno giovani, studenti e lavoratori, single ed intere famiglie, mossi dal desiderio di sperimentare nuovi sapori o, più semplicemente, di godersi un pranzo o una cena piacevole, senza la “fatica” di fare la spesa e stare ore davanti ai fornelli.
Non a caso, oggi qualsiasi ristorante offre un servizio di delivery con personale proprio, oppure appoggiandosi ad un circuito già collaudato – pensiamo, ad esempio, a Just Eat, Glovo, ecc. – per non incorrere in problematiche a livello organizzativo. Nel tempo, inoltre, la varietà di prodotti acquistabili da casa o dal posto di lavoro è di gran lunga aumentata: accanto ai classici, come “pizza, patatine e hamburger”, troviamo pietanze ben più raffinate e di nicchia, come le ricette vegan o di origine etnica / fusion.
Non tutti i locali, però, sono accessibili anche al pubblico. Di recente, infatti, è sorta una particolare tendenza – quella delle cosiddette dark kitchen – che, secondo gli osservatori, è destinata a crescere negli anni a venire. Ma cosa intendiamo, di preciso, con l’espressione “dark kitchen” (o ghost kitchen)? Quali fattori hanno contribuito allo sviluppo di questa specifica categoria di ristoranti? E ancora: conviene davvero investire in una dark kitchen?
Proviamo a rispondere insieme a queste domande!
Cos’è una dark kitchen?
La dark kitchen non è altro che un ristorante, una panineria, un sushi bar, ecc. che propone esclusivamente servizi di food delivery. Se la maggior parte dei locali permette ai clienti di pranzare / cenare anche all’interno, mettendo a loro disposizione un’apposita sala, uno spazio con sedie e tavolini o, semplicemente, il classico bancone, le dark kitchen non presentano ambienti aperti al pubblico e adibiti al consumo degli alimenti. Per gli acquirenti, infatti, rimangono soltanto due opzioni: ritirare le pietanze ordinate direttamente sul posto, oppure avvalersi del servizio di consegna a domicilio.
Dunque, da cosa dipende il successo delle ghost o dark kitchen?
I vantaggi delle dark kitchen per la clientela
Gustare comodamente a casa i propri piatti preferiti è uno “sfizio” a cui molte persone non potrebbero mai rinunciare. Dopo una giornata faticosa trascorsa tra ufficio e impegni familiari, o magari in occasione di un evento speciale, è piacevole rilassarsi tra le mura domestiche, senza dover pensare a preparare il pranzo o la cena. Negli ultimi anni, poi, le abitudini dei consumatori sono cambiate sotto tanti aspetti: durante i mesi di lockdown o di “semi-libertà”, quando le restrizioni dovute al Covid-19 erano ancora attive, i servizi di food delivery hanno vissuto una vera e propria impennata verso il successo.
Le dark kitchen, pertanto, sono diventate spesso dei punti di riferimento per gli amanti di una particolare cucina (ad esempio, quella asiatica). Difatti, l’assenza di spazi aperti al pubblico si traduce in minori spese per i gestori / titolari e, di conseguenza, in un rapporto qualità / costo ben più competitivo.
I vantaggi delle dark kitchen per gli imprenditori
Aprire un ristorante “tradizionale” comporta un investimento iniziale che pochi imprenditori sono in grado di sostenere. Oltre alla cucina, alle attrezzature, al magazzino e al personale, un esercizio pubblico necessita di spazi e arredi adeguati, di manutenzione costante e di un numero maggiore di dipendenti in sala, per poter rispondere alle richieste degli avventori.
Differentemente, per mettere in piedi una dark kitchen, non occorre un budget altrettanto elevato. Difatti, è sufficiente disporre di un ambiente a norma per la preparazione dei piatti, senza preoccuparsi del lato estetico, e di un sito web per le ordinazioni. Quest’ultimo, poi, può essere tranquillamente eliminato mediante l’affiliazione ad una delle varie piattaforme esistenti. Dal punto di vista fiscale ed amministrativo, infine, si può risparmiare grazie a servizi come Fiscozen, a cui è possibile delegare l’apertura della Partita IVA (senza rinunciare al supporto di un professionista, specie se non si ha familiarità con la procedura e le scelte da compiere durante i vari passaggi) e il disbrigo delle pratiche (una su tutte: la ComUnica). Il costo è fisso – pari a 200 euro + IVA – e comprende sia le spese vive, sia la consulenza tecnica.