(Intervista a firma di Alessia Gallione pubblicata su La Repubblica del 1 novembre 2015)
«Missione compiuta, ma non finisce qui. Il lavoro continua perché tutto quello che abbiamo imparato adesso va valorizzato fino in fondo», dice Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura e uomo Expo del governo.
Cosa resta di Expo? E come si va avanti?
«L’Italia può giocarsi un ruolo sui temi di Expo. Questa è stata una straordinaria piattaforma per riorganizzare la nostra diplomazia economica nel mondo. Ha un valore enorme soprattutto perché abbiamo centrato molto di questo lavoro guardando al Mediterraneo e al compito che l’Italia può svolgere tra Europa e Africa. La cooperazione agricola e alimentare è diventata a tutti gli effetti una frontiera delle relazioni diplomatiche internazionali e l’Italia si candida a essere tra i Paesi guida. Poi c’è un post Expo materiale…»
Non c’è il rischio, come molti temono, di lasciare una cattedrale nel deserto?
«No, oggi iniziamo una nuova sfida: dimostrare che, dopo aver fatto funzionare al meglio Expo, saremo in grado anche di lavorare a un progetto sul postExpo all’altezza delle aspettative. Dalla prossima settimana accelereremo il lavoro del governo che farà la sua parte mettendoci risorse economiche e proponendo delle idee all’altezza del valore simbolico che l’area ha assunto per Milano e il Paese».
E i contenuti?
«Il prossimo 6 febbraio all’Hangar Bicocca di Milano organizzeremo l’Expo delle idee per andare avanti sui progetti lasciati in eredità da questi mesi. Uno è cruciale: dobbiamo capitalizzare la rete internazionale di 140 università e centri di ricerca che hanno lavorato con noi».
A maggio dello scorso anno, Milano e Expo erano ferite dagli scandali. Adesso, dice Cantone, la città è tornata a essere capitale morale.
«Milano ha davvero dimostrato il meglio di sé, partendo dalla reazione civile di fronte alle violenze del 1 maggio. Tutte le istituzioni hanno fatto squadra e il governo è rimasto accanto a loro. La scelta fondamentale di chiamare l’Anac è stata del presidente del Consiglio, in 72 ore».
Che cosa è mancato, invece, a Roma?
«Credo che Roma abbia tutte le condizioni per rialzarsi, ritrovare il suo spirito e avere una reazione all’altezza della sua storia. Sono convinto che possa uscirne e sono contento che ci sia un’esperienza come quella di Tronca».
Anche per lei esiste un modello Milano e come può servire al Giubileo?
«Non credo che si tratti di esportare in fotocopia un modello, ma di utilizzare le migliori pratiche e esperienze fatte qui e adattarle a un contesto come quello di Roma».
Che cosa può essere esportato: esperienza, uomini?
«Quello che si è visto in questi mesi tribolati è che il corto circuito della città non consentiva una reazione all’altezza del problema. Credo che contino le esperienze personali e quindi gli uomini. I cambiamenti si fanno sulle persone».
Ha parlato della società civile. È quella che ha fatto la differenza a Milano?
«Il primo elemento è stata una fortissima coesione istituzionale, il secondo una società civile attiva e protagonista e un tessuto imprenditoriale A Milano è stato un corpo a corpo vivo, un legame con la città, le associazioni, anche nei momenti di critica».